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AUSCHWITZ


Descrivere un viaggio, anzi un “pellegrinaggio” ad Auschwitz, non è semplice perchè è un luogo che ha segnato la storia dell’umanità, su cui tanto si è scritto ed ovunque possono essere trovate notizie a riguardo.
Proverò quindi, brevemente, a descrivere alcune osservazioni e sensazioni personali.








Partendo da Cracovia, non troverete mai l’indicazione stradale per Auschwitz, ma la direzione che seguirà la vostra guida o che dovrete seguire è quella verso Oswiecim (che per assonanza, nella pronuncia, richiama il nome di Auschwitz).

Il perchè non esista un’indicazione stradale con quel nome è già indicativo del fatto che, evidentemente, nella popolazione locale il ricordo, ineluttabile, di quel luogo evoca dolore e quindi si cerca in tutti i modi di evitarne la rappresentazione. Solo in prossimità del parcheggio troveremo l’indicazione per l’ingresso al Museo.








Una volta entrati ed oltrepassato il limite segnato dall’iscrizione “Arbei macht frei” (“Il lavoro rende liberi”) lo stato d’animo del visitatore cambia: risalta un particolare silenzio e tristezza, di solito rari in un gruppo numeroso di turisti.

Ricordo solo alcuni dati impressionanti di cosa fu Auschwitz dal 1940 al 1945:
giugno 1940: inizio della deportazione di 140-150 mila ebrei polacchi;
giugno 1941: inizio della deportazione di 25 mila prigionieri ebrei di varie nazionalità;
estate 1941: inizio della deportazione di 15 mila ebrei sovietici;
marzo 1942: deportazione di massa di 1 milione e 100 mila ebrei europei - diventa il sito di uccisione di massa piu’ grande della storia;
febbraio 1943: deportazione di 23 mila zingari








La visione di alcuni “binari morti” circondati da filo spinato, segnali di “ALT” con l’immagine di un teschio, fanno già comprendere cosa poteva essere l’arrivo di queste povere persone nel campo.
Alcune foto in bianco e nero di bambini e neonati in braccio alle madri appena scese dai treni, esposte all’interno del museo, cominciano a suscitare forti emozioni.
Durante la visita vi è un progressivo impatto emotivo nel vedere, esposti nelle stanze di quelli che erano i “blocchi” numerati del campo di concentramento, intere cataste di barattoli che contenevano il gas letale che veniva utilizzato, quindi intere stanze occupate dalle valigie con cui i prigionieri arrivavano.










Un’intera teca contiene gli occhiali dei deportati, i pettini ed i pennelli da barba, una stanza profonda racchiude le stoviglie che venivano utilizzate.

Un’intera stanza contiene migliaia di scarpe, di tutti i tipi e di tutte le misure e quelle che suscitano la maggiore emozione e rabbia sono quelle dei bambini e dei neonati.

Non è sfuggita, almeno alla mia osservazione, la vista di una scarpa femminile con il tacco rosso che spicca nel grigiore e nelle tonalità del marrone di tutte le altre.
Ed allora come non può tornare alla mente il ricordo struggente della bimba con il cappotto rosso, unica immagine a colori del film “Schindler’s list” di Spielberg?




Ma il momento più impressionante, dal punto di vista emotivo, è quando si entra nella stanza contenente una quantità inverosimile di capelli ammassati come se fosse lana, dove variano le tonalità di castano, dal più chiaro al più scuro, al biondo, in alcuni casi ancora in forma di treccia femminile. Questa immagine, a mio giudizio, rappresenta il vero “pugno allo stomaco” della visita ad Auschwitz.

Non vi fu pietà, non vi fu compassione e rispetto della vita umana ed è giusto concludere questo breve racconto di viaggio con la frase di George Santayana che campeggia in uno dei “blocchi”: “The one who does not remember history is bound to live through it again”.










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